Strategie adattive cellulari indotte dallo stress: antichi programmi evolutivamente conservati come nuovi bersagli terapeutici antitumorali – Stress-induced cellular adaptive strategies: Ancient evolutionarily conserved programs as new anticancer therapeutic targets
Codice: MUT004
Autore: Cipponi and Thomas
Data: 2014
Rivista: Bioessays 36 (6): 552-560
Argomento: mutagenesi
Accesso libero: no
DOI: https://doi.org/10.1002/bies.201300170
URL: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/bies.201300170
BLOG: https://www.metododibellaevidenzescientifiche.com/2022/01/31/mut004-cipponi-and-thomas-2014/
Parole chiave: risposta adattativa; cancro; resistenza ai farmaci; instabilità genomica; stress
Tumore: n/a
Traduzione: quasi totale, fatto solo alcuni piccoli tagli.
Punti di interesse
I tumori sono spesso caratterizzati da alti livelli di instabilità genomica, generando diversità fenotipica che consente la resistenza agli stress ambientali e ai trattamenti farmacologici. Tradizionalmente, è sempre stato affermato che l’instabilità genetica delle cellule tumorali sia caotica e casuale, i subcloni resistenti emergono casualmente, arricchendosi successivamente in quanto portatori di una mutazione che conferisce un vantaggio selettivo. Leggi tutto
L’articolo evidenzia invece come i tassi di mutazioni adattative possono non solo cambiare durante la storia di vita di un cancro, ma possono essere regolati in risposta allo stress ambientale da meccanismi evolutivamente conservati. L’instabilità genomica delle cellule tumorali non è caotica e selezionata per un vantaggio, ma bensì è una strategia adattativa messa in atto dal tumore in risposta ad un ambiente sfavorevole e mutevole.
Le prime forme di vita hanno sviluppato meccanismi di prevenzione dello stress e programmi di adattamento, come strategie cooperative individuali o multicellulari, per contrastare le condizioni ambientali ostili e variabili. Questi meccanismi atavici sono alla base di strategie adattative anche in organismi superiori e alla base della resistenza alle terapie nei tumori. Molte attuali delle terapie antitumorali equivalgono alle minacce arcaiche. La radioterapia imita l’esposizione alle radiazioni. Le chemioterapie e le radioterapie inducono specie reattive dell’ossigeno, gli antimetaboliti e la limitazione vascolare imitano la privazione di nutrienti e l’anossia; trattamenti termici imitano gli estremi climatici. Stress ambientali per quali gli organismi hanno fin dai primordi della vita sviluppato strategie adattative per sopravvivere.
La transizione verso una vita multicellulare complessa potrebbe aver represso queste strategie in alcuni gruppi cellulari. Ma programmi antichi possono essere stati mantenuti, perfezionati per altri scopi, essere rilevanti per alcuni tipo di cellule, oppure essere espressi o riespressi in determinate situazioni particolarmente sfavorevoli per la sopravvivenza cellulare. L’instabilità genomica osservata nel cancro potrebbe essere una di queste strategie, attivata da condizoni ambientali sfavorevoli. Le cellule tumorali possono essere considerate come la devoluzione delle cellule metazoiche (di organismi pluricellulari) a specie unicellulari più semplici.
Diversi studi suggeriscono che l’evoluzione adattativa delle cellule tumorali non è solo la somma delle risposte dei singoli cloni, ma può essere concepita come il risultato di effetti collettivi all’interno delle popolazioni cellulari. I tumori sono considerati ecosistemi cellulari complessi che utilizzano meccanismi di comunicazione intercellulare e stabiliscono un’interdipendenza reciproca con cellule maligne e non maligne per sopravvivere in habitat stressanti e competitivi . Sorprendenti somiglianze sono state osservate tra le strategie di sopravvivenza delle cellule tumorali e quelle implementate dalle comunità microbiche, ugualmente caratterizzate da capacità di comportamento collettivo avanzate. Tali parallelismi suggeriscono la presenza di meccanismi altamente conservati nel processo evolutivo degli organismi.
Le risposte allo stress possono essere di prima linea e di seconda linea. Le risposte allo stress di prima linea conferiscono una migliore sopravvivenza cellulare nel breve termine. Esempi di risposta di prima linea sono quelle che si verificano in seguito allo shock termico o a stress ossidativo che impicano aumento di trascrizione di alcuni geni per la produzione di proteine che hanno lo scopo di ripristinare la normalità dopo il danno. Se lo stress è duraturo e grave e le risposte protettive non hanno successo, vengono attivati diversi meccanismi come la senescenza, l’autofagia, la necrosi o le vie pro-apoptotiche (pro morte cellulare). Se, invece, lo stress è meno grave, si attivano una serie di ulteriori risposte adattative, quelle di seconda linea che agiscono nel lungo termine. Le risposte di seconda linea sono caratterizzate da una vasta gamma di cambiamenti nel genoma che generano diversità genetica e favoriscono l’adattamento evolutivo allo stress a cui le cellule sono sottoposte.
Risposte di seconda linea che sono in grado di favorire diversità genetica sono: l’amplificazione genica, la mutagenesi indotta dalla trascrizione del DNA durante la sintesi dell’RNA, l’instabilità del cariotipo (ovvero di numero e forma dei cromosomi), l’attivazione di forme mutagene di riparazione del DNA, ovvero riparazioni non fedeli, in grado di inserire errori, e quindi creare una nuova versione del tratto di DNA rotto e oggetto di riparazione.
Nel batteri, in Escherichia coli, la riparazione delle rotture a doppio filamento (DSB) del DNA, normalmente viene eseguita con ricombinazione omologa, che implica fedeltà e bassa probabilità di introduzione di un errore. In casi di stress cellulare, l’attivazione della risposta generale allo stress consente alle DNA polimerasi soggette a errori di partecipare alla riparazione del DNA al posto delle DNA polimerasi ad altà fedeltà, aumentando così il tasso di introduzione di un errore e quindi di un cambiamento del DNA. La riparazione soggetta a errori delle rotture a doppio filamento da parte di DNA polimerasi a bassa fedeltà è quindi una strategia evolutiva, ed è conservata in quanto è alla base della mutagenesi indotta da stress anche in altri organismi come il lievito e le cellule di mammifero.
La riparazione del DNA con l’aiuto di un omologo (ricombinazione omologa) è fondamentale per riparare le lesioni del DNA in modo fedele e quindi senza l’introduzione di errori. Gli attori centrali nella ricombinazione omologa negli eurocarioti sono la proteina BRCA1 e la proteina di scambio di filamenti Rad51. Le mutazioni in questi geni o la loro repressione trascrizionale possono portare all’attività di percorsi alternativi più proni agli errori. La giunzione tra estremità senza omologo (NHEJ – non homologous end joining) è un percorso di riparazione delle rotture a doppia elica che lega direttamente le estremità rotte insieme senza fare affidamento su un modello omologo, in grado di introdurre errori e quindi mutazioni. In condizioni di stress, il lievito sembra passare dalla riparazione dei danni con ricombinazione omologa ad alta fedeltà al meccanismo di riparazione più mutageno, della giunzione di estremità senza omologo. Analoghi meccanismi si osservano nelle cellule tumorali umane, dove condizioni ipossiche sono in grado di attivare la repressione trascrizionale di diversi geni di riparazione del DNA. La sotto regolazione di geni BRCA1 e Rad51 in particolare, fa si che non venga usato il processo ricombinazione omologa del sistema di riparazione di rotture del DNA a doppio filamento ma venga fatto uso della giunzione tra estremità senza omologo NHEJ, portando ad una maggiore instabilità genomica.
Durante la replicazione del DNA possono essere incorporati nucleatodi sbagliati, errori che vengono corretti attraverso meccanismi di riparazione noti come la riparazione del mismatch (MMR). La repressione trascrizionale dei geni coinvolti in questo percorso di riparazione rappresenta un altro meccanismo di mutagenesi indotta da stress. La sotto regolazione dei geni coinvolti in questo meccanismo di riparazione nei batteri e nelle cellule umane è spesso osservata come parte della risposta adattativa.
Quindi il passaggio a forme mutagene di riparazione del danni del DNA osservate nelle cellule umane può essere considerato come l’attivazione di un programma atavico, poiché mostra sorprendenti somiglianze con i programmi di adattamento indotti dallo stress in lieviti e batteri.
Nella mutagenesi indotta da stress i punti fondalmentali sono: presenza di danni al DNA a doppia elica, selezione di meccanismi di riparazione in grado di introdurre errori (mutagena). In caso di stress vengono favoriti quindi riparazioni del DNA prone agli errori per generare nuova diversità genetica e fenotipica. La diversità genica non sarebbe casuale, ma causata volutamente.
Implicazioni terapeutiche
Smorzamento dell’ipermutabilità
Idealmente, agenti in grado di indirizzare specificamente le vie che modulano i tassi di mutagenesi adattativa, comprometterebbero la capacità delle cellule tumorali di trovare “soluzioni genetiche” per sfuggire all’attività del farmaco così come ai fattori di stress microambientali intratumorali, minacciando costantemente la loro sopravvivenza. Le cellule tumorali dovrebbero affrontare ambienti difficili in cui l’evoluzione adattativa non sarebbe disponibile come mezzo di sopravvivenza.
Massimizzare l’ipermutabilità
La presenza di uno stato ipermutabile, potrebbe essere sfruttata terapeuticamente per scatenare un programma mutageno incontrollato che porta a una mutagenesi letale. Tassi di mutazione estremi che superano una soglia di errore sono in grado di uccidere gli organismi. Questo approccio richiederebbe il targeting di molecole chiave che governano la regolazione dei tassi di mutazione, poiché le cellule tumorali dimostrano una notevole resilienza all’instabilità genomica. Tuttavia, resta da determinare se le cellule normali potrebbero essere influenzate da tali approcci terapeutici.
Riflessioni finali
Le cellule potrebbero mettere in atto strategie mutagene per sopravvivere e accelerare la diversità e l’adattamento in condizioni ambientali mutevoli. Le mutazioni non necessariamente sono causali, ma possono essere indotte dalle cellule stesse, in risposta allo stress ambientale. È diventato chiaro che il genoma è più dinamico e più reattivo ai fattori di stress ambientale di quanto si sospettasse in precedenza. I meccanismi di mutagenesi indotti dallo stress sembrano ora essere diffusi e importanti in natura, e conservati nell’evoluzione. Rappresentano modelli per spiegare l’instabilità genomica tipica di tumori e batteri alla base dell’evoluzione della resistenza agli antibiotici nei batteri, della resistenza ai farmaci nelle cellule tumorali e dell’evasione della risposta immunitaria da parte dei patogeni e tumori. Diversi componenti comuni caratterizzano queste strategie nelle cellule di mammifero e in diversi microrganismi. Sono stati compiuti progressi significativi nella caratterizzazione di tali strategie nei batteri, ma molto resta da scoprire nelle cellule eucariotiche. Il campo manca ancora di una chiara comprensione dei percorsi molecolari chiave e dei meccanismi genetici che collegano i percorsi di risposta allo stress con la riparazione mutagena del DNA. Partendo dal presupposto che la mutagenesi non sia né fissa né casuale, ma possa piuttosto variare in modo programmato in base allo stress ambientale, la comprensione di questi percorsi può integrare l’attuale attenzione terapeutica sui bersagli farmacologici nel cancro.
Glossario
Glossario
Proteostasi/Stress proteotossico
La proteostasi è la regolazione dinamica, equilibrata e funzionale della sintesi, il ripiegamento, il traffico e la degradazione delle proteine presenti all’interno e all’esterno della cellula. Quando questo equilibrio viene meno, per la cellula inizia lo stress proteotossico. Inizialmente, lo stress proteotossico suscita risposte adattative volte a ripristinare la proteostasi, consentendo alle cellule di sopravvivere alla condizione di stress. Tuttavia, se il ripristino della proteostasi fallisce, uno stress proteotossico permanente e prolungato può essere deleterio e portare a morte cellulare. Leggi tutto
Metazoi
In zoologia, l’insieme di tutti gli organismi pluricellulari Eucarioti compresi nel regno animale. A differenza dei Protozoi, hanno corpo costituito da numerose cellule, che esplicano differenti funzioni.
Trascrizione del DNA
La trascrizione è il processo mediante il quale le informazioni contenute nel DNA vengono trascritte in una molecola complementare di RNA. Nel caso in cui il DNA codifichi una o più proteine, la trascrizione è l’inizio del processo che porta, attraverso la produzione intermedia di un RNA messaggero (mRNA), e alla sintesi di proteine funzionali.
Cariotipo
Patrimonio cromosomico di una specie dal punto di vista numerico e morfologico.
Traduzione dell’articolo
Riassunto
Nonostante i notevoli risultati dei nuovi farmaci antitumorali mirati, la maggior parte delle terapie produce solo remissione per un tempo limitato, resistenza al trattamento e ricaduta, spesso essendo il risultato finale. La resistenza ai farmaci è dovuta a strategie adattive altamente efficienti utilizzate dalle cellule tumorali. È noto che stimoli di stress esogeni ed endogeni inducono risposte di prima linea, in grado di ristabilire l’omeostasi cellulare e determinare le decisioni sul destino cellulare. Le cellule tumorali possono anche utilizzare strategie adattative di seconda linea, come la risposta del mutatore. Sottopopolazioni ipermutabili di cellule possono espandersi in condizioni di grave stress selettivo, accelerando così l’emergere di cloni adattati. Come per le risposte protettive di prima linea, queste strategie appaiono altamente conservate e si trovano nei lieviti e nei batteri. Ipotizziamo che i programmi evolutivamente conservati regolino la mutabilità in ambienti mutevoli e contribuiscano alla resistenza ai farmaci nelle cellule tumorali. Il chiarimento dei meccanismi genetici e molecolari conservati può presentare nuove opportunità per aumentare l’efficacia delle terapie contro il cancro. Leggi tutto
Introduzione
L’era moderna della terapia del cancro ha generato un’eccitazione giustificata basata su enormi progressi nella comprensione della complessa rete di segnali molecolari che sono deregolati nelle cellule tumorali e sul design razionale di successo di terapie antitumorali mirate [1].
La caratterizzazione dei tumori maligni in base ai loro profili genomici, epigenetici e trascrizionali unici promette un’era di terapia oncologica individualizzata. Alcune terapie hanno mostrato risultati clinici notevoli. Esempi sono trastuzumab, usato per il carcinoma mammario Her2-positivo [2], cetuximab, che prende di mira i tumori positivi alla mutazione EGFR [3] e imatinib, specifico nella leucemia mieloide cronica e mutazioni c-kit in tumori del tratto gastrointestinale [4]. Nonostante questi progressi, la maggior parte delle terapie antitumorali, se utilizzate nella malattia avanzata, producono remissioni per un tempo limitato e alla fine emerge la resistenza ai farmaci, portando a ricadute e morte [5]. I limiti degli attuali approcci terapeutici possono essere in parte spiegati dalla mancanza di comprensione a livello fondamentale dei meccanismi molecolari e genetici utilizzati dalle cellule tumorali per adattarsi ed evolversi in risposta a pressioni selettive sia terapeutiche che di altri fattori ambientali o endogeni.
I tumori come sistemi in evoluzione dinamica
I tumori sono spesso caratterizzati da alti livelli di instabilità genomica [6, 7], generando diversità fenotipica che consente la resistenza agli stress ambientali e ai trattamenti farmacologici [8]. Tradizionalmente, si presume che l’instabilità genetica nelle cellule tumorali sia caotica, in modo tale che subcloni resistenti emergano casualmente, arricchendosi successivamente in quanto coferiscono un vantaggio selettivo. L’altissimo numero di mutazioni riscontrate nei tumori umani [9, 10], ha portato a suggerire che le cellule tumorali possiedano un fenotipo ipermutatore [11], analogo a quello originariamente studiato nei batteri [12, 13] e nel lievito [14, 13] 15]. Questa strategia programmatica porta all’aumento del tasso di mutazione in risposta a stress sia genotossici [16, 17] che non genotossici [18-21], fornendo così uno spettro di mutanti per una rapida evoluzione in ambienti stressanti [7, 8, 22 ].
D’altra parte, sebbene adattiva durante la selezione, si prevede che l’instabilità genomica riduca la forma fisica delle singole cellule configurate in modo ottimale per una nicchia ambientale stabile [8, 23, 24]. In effetti, si è presupposto che molte terapie antitumorali genotossiche utilizzino il “sovraccarico di mutazioni” come meccanismo per uccidere la cellula cancerosa. Non è ancora chiaro come le cellule tumorali gestiscano la sfida delle conseguenze dannose dell’instabilità genomica, pur mantenendo una plasticità genetica sufficiente per sopravvivere alla continua esposizione a pressioni selettive ambientali e farmacologiche. Le variazioni del numero di cromosomi, insieme a traslocazioni, amplificazioni geniche e cambiamenti di sequenza più sottili (sostituzioni di basi, delezioni o inserimenti), rappresentano alcuni dei meccanismi di cambiamento genetico che si verificano dinamicamente come risposta a condizioni selettive in ambienti fluttuanti. Proponiamo qui che i tassi di mutazioni adattative possono non solo cambiare durante la storia di vita di un cancro, ma possono essere regolati in risposta allo stress ambientale da meccanismi evolutivamente conservati.
Programmi adattivi indotti dallo stress come antichi kit di sopravvivenza
Percepire e rispondere a fattori dannosi ambientali o intracellulari rappresentano meccanismi primari nella legge evolutiva della sopravvivenza. Le prime forme di vita hanno sviluppato meccanismi di prevenzione dello stress e programmi di adattamento, come strategie cooperative individuali o multicellulari, per contrastare le condizioni ambientali ostili e variabili che caratterizzavano la Terra primordiale [27]. Queste strategie sono state conservate durante l’evoluzione. L’invasività indotta dallo stress consente alle cellule di spostarsi da una nicchia ostile a una più favorevole. È stata osservata nei procarioti in risposta a terapie antibiotiche [28], stress ossidativo [29] e proteina da shock fagico (Psp) [30]. Allo stesso modo, gli ambienti limitati dai nutrienti inducono una crescita invasiva nel lievito [31] e le condizioni ipossiche attivano la risposta allo stress pro-metastatico nelle cellule tumorali umane [32, 33].
Diverse forme di strategie adattive (descritte di seguito) sono state sviluppate per sopravvivere alle stesse pressioni selettive. È interessante notare che questi meccanismi potrebbero essere alla base della resistenza ai farmaci nei tumori, poiché molte attuali terapie antitumorali ricapitolano le minacce arcaiche [34]. La radioterapia imita l’esposizione alle radiazioni (a causa dell’assenza dello strato di ozono nella terra primordiale). Le chemioterapie e le radioterapie inducono specie reattive dell’ossigeno (ROS) verso le quali le prime forme di vita hanno sviluppato strategie di difesa (enzimi antiossidanti) dopo l’aumento dell’ossigeno atmosferico [35]. Gli antimetaboliti imitano la privazione di nutrienti; trattamenti termici come la criochirurgia [36], imitano gli estremi climatici. La rottura vascolare [37] imita il collasso della catena alimentare e l’anossia.
Mentre la transizione verso una vita multicellulare complessa potrebbe aver represso queste strategie negli organismi pluricellulari, l’evoluzione adatta naturalmente i vecchi programmi per servire nuovi scopi. Il vantaggio evolutivo nella mutabilità dinamica nella maggior parte delle cellule all’interno di organismi pluricellulari non è evidente, poiché le cellule di tessuti differenziati non sono soggette a selezione, rappresentando un “vicolo cieco” evolutivo. Tuttavia, i programmi antichi possono essere rilevanti per la linea germinale o essere riespressi come parte dell’instabilità genomica osservata nel cancro. In effetti, le cellule tumorali possono essere considerate come la devoluzione delle cellule metazoiche (di organismi pluricellulari) a specie unicellulari più semplici [38, 39].
È interessante notare che diversi studi suggeriscono che l’evoluzione adattativa delle cellule tumorali non è solo la somma delle risposte dei singoli cloni, ma può anche essere concepita come il risultato di effetti collettivi all’interno delle popolazioni cellulari. I tumori sono considerati ecosistemi complessi che utilizzano meccanismi di comunicazione intercellulare e stabiliscono un’interdipendenza reciproca con cellule non maligne per sopravvivere in habitat stressanti e competitivi [40-42]. Sorprendenti somiglianze sono state osservate tra le strategie di sopravvivenza delle cellule tumorali e quelle implementate dalle comunità microbiche, ugualmente caratterizzate da capacità di comportamento collettivo avanzate [43]. Tali parallelismi suggeriscono la presenza di meccanismi conservati [44, 45]. Un esempio è il meccanismo di morte cellulare altruistica osservato nei batteri, che media le strategie collettive di resistenza agli antibiotici [46]. Modalità simili di morte altruistica sono state osservate durante l’apoptosi indotta dalla radioterapia del cancro e delle cellule stromali e sono in grado di aumentare la resistenza a livello di popolazione delle cellule tumorali sopravvissute [47].
Risposte allo stress programmate
Strategie di prima linea di adattamento allo stress
Un’ampia gamma di fattori ambientali che agiscono come potenziali fattori di stress sono in grado di attivare meccanismi di difesa di prima linea universalmente conservati [48]. La risposta allo shock termico [49] rappresenta una strategia protettiva comune utilizzata per contrastare molteplici stress ambientali. È innescato dall’accumulo di proteine dispiegate come risultato del danno proteico ed è caratterizzato da cambiamenti trascrizionali globali tra cui un’elevata espressione di proteine da shock termico. Queste proteine funzionano come chaperon molecolari, assicurando un appropriato ripiegamento, traslocazione e assemblaggio di strutture proteiche [50]. La privazione dei nutrienti, i fattori che inibiscono la glicosilazione proteica, il disturbo dell’omeostasi del calcio e l’ipossia, causano un accumulo di proteine dispiegate nel reticolo endoplasmatico (ER), organello cellulare, attivando la “unfolded protein response” URP, o risposta alle proteine dispiegate o malpiegate. La segnalazione orchestrata dall’UPR, generalmente promuove la sopravvivenza cellulare riducendo l’afflusso di proteine nel reticolo endoplasmatico, aumentando la produzione di chaperoni molecolari per favorire il corretto ripiegamento delle proteine e/o migliorando la secrezione di fattori trofici [51].
Una specifica risposta allo stress ossidativo è attivata dal disturbo dell’equilibrio tra specie pro-ossidanti ed enzimi antiossidanti ed è caratterizzata dall’aumentata trascrizione dei geni antiossidanti.
Oltre a queste risposte di prima linea, i meccanismi di riparazione del DNA svolgono un ruolo nella sopravvivenza a seguito di stress genotossico e questi possono essere particolarmente rilevanti per le cellule tumorali. Gli agenti chemioterapici, le radiazioni ionizzanti e gli agenti genotossici ambientali, causano rotture del doppio filamento del DNA (DSB – double strand breaks) e rotture del singolo filamento (SSB – single stran breaks), inducendo così la risposta al danno del DNA. Le due vie principali coinvolte nella riparazione di queste lesioni genetiche sono i meccanismi di giunzione di estremità non omologa (NHEJ) e di ricombinazione omologa (HR) [52].
In generale, le risposte protettive di prima linea conferiscono una migliore sopravvivenza cellulare in un periodo a breve termine, ma è meno chiaro se queste promuovano l’adattamento a lungo termine.
Strategie di adattamento di seconda linea
A seconda della sua gravità, lo stress cellulare può avere due esiti diversi. Se lo stress è duraturo e grave e le risposte protettive non hanno successo, vengono attivati diversi meccanismi come la senescenza, l’autofagia, la necrosi o le vie pro-apoptotiche. Se, invece, lo stress è meno grave, si attivano una serie di ulteriori risposte adattative, riferite ad una seconda linea (Fig. 1). I fattori alla base di queste risposte di seconda linea sono una vasta gamma di mutazioni che generano diversità genetica e favoriscono l’adattamento evolutivo. Di seguito sono riassunti diversi tipi di risposte adattative di seconda linea presenti nei microrganismi e nelle cellule tumorali umane.
Amplificazione genica
L’amplificazione genica è un meccanismo adattativo alla pressione selettiva ben descritto [7, 54]. Si osserva nei batteri [55] così come nei lieviti [56], in risposta a un ambiente limitato dai nutrienti. Questo meccanismo rappresenta una strategia più flessibile rispetto alle mutazioni puntiformi, poiché negli organismi normali può essere ripristinato a copia singola mediante ricombinazione e consente l’evoluzione di un gene mentre viene conservata una copia intatta. Nelle cellule umane, svolge ruoli importanti nella resistenza ai farmaci e nella tumorigenesi [57, 58]. Ad esempio, l’amplificazione degli oncogeni è associata a numerosi tipi di cancro [7, 54] e l’amplificazione delle chinasi MET e CRKL conferisce resistenza agli inibitori dell’EGFR nei tumori polmonari mutanti dell’EGFR [59]. I meccanismi che consentono l’amplificazione genica, tuttavia, non sono ben compresi.
Mutagenesi associata alla trascrizione
Le mutazioni associate alla trascrizione del DNA sono un’altra forma di mutabilità mirata [60]. La trascrizione dei precursori di mRNA da parte delle RNA polimerasi II e la loro successiva elaborazione in mRNA maturi sono eventi altamente coordinati. Sono necessari specifici meccanismi regolatori per garantire un’elaborazione efficiente e accurata nonché la protezione dei cromosomi dagli effetti potenzialmente dannosi dei trascritti nascenti. Infatti, il processo di trascrizione induce modificazioni locali nel DNA che viene trascritto che possono rendere il DNA particolarmente soggetto a mutazione [61]. Il meccanismo di riparazione accoppiata alla trascrizione (TCR) rappresenta una barriera primaria in grado di ridurre il carico di mutazione [62]. Tuttavia, quando la capacità di riparazione di questo sistema viene superata, inevitabilmente si verificano conseguenze mutagene della trascrizione. Questo fenomeno è stato originariamente osservato nei batteri [63], dove i geni trascritti durante la risposta allo stress erano più probabilmente mutati rispetto ai geni non trascritti. Mutazioni associate alla trascrizione sono state osservate anche nel lievito [64] e nelle cellule di mammifero [65]. In questo meccanismo, le mutazioni sono mirate ai geni espressi, i cui prodotti sono necessari come parte di programmi di adattamento.
Instabilità cariotipica
Sebbene le cellule tumorali si riproducano in modo asessuato, hanno un meccanismo alternativo per creare un tampone contro un aumento del danno al DNA. L’iperploidia, o un aumento del numero di cromosomi, è comune in molti tumori. Un’implicazione dell’avere più di due copie di ogni gene è la ridotta probabilità che una mutazione provochi la completa perdita della funzione di quel gene all’interno della cellula cancerosa. Una perdita critica di funzione dovuta a mutagenesi casuale è ridotta se ci sono quattro copie del gene critico, che se ci sono solo due copie. Nel lievito è stata osservata instabilità cariotipica, in cui la variazione del numero di cromosomi (aneuplodia) facilita l’emergere di resistenza allo stress ambientale [67].
Forme mutagene di riparazione del DNA
Le forme mutagene (che quindi inducono mutazione) di riparazione delle rotture a doppia elica del DNA rappresentano meccanismi aggiuntivi utilizzati nelle risposte adattative. In Escherichia coli, la riparazione delle rotture a doppio filamento (DSB) del DNA, normalmente eseguita con ricombinazione omologa, passa da un processo ad alta fedeltà a una modalità mutagena (ovvero prona all’errore) mediante l’attivazione della risposta generale allo stress [68]. Questo meccanismo consente alle DNA polimerasi soggette a errori di partecipare alla riparazione del DNA, aumentando così il tasso di mutazione. La riparazione soggetta a errori dei DSB da parte di DNA polimerasi a bassa fedeltà sembra essere una strategia evolutiva conservata in quanto è alla base della mutagenesi indotta da stress in altri organismi come il lievito [69, 70] e le cellule di mammifero [71]. A questo proposito, la generazione della diversità anticorpale nelle cellule di mammifero ha sorprendenti parallelismi con i meccanismi procariotici. L’ipermutazione somatica dei geni delle immunoglobuline è mediata dalle DNA polimerasi a bassa fedeltà che generano delle mutazioni vicino alle rotture a doppia elica del DNA programmate all’interno dei geni delle immunoglobuline, dando origine al repertorio anticorpale [72].
La ricombinazione omologa è fondamentale per riparare le lesioni del DNA come le rotture a doppio filamento, lacune del DNA a filamento singolo e legami incrociati tra i filamenti. Gli attori centrali nella ricombinazione omologa sono la proteina BRCA1 e la proteina di scambio di filamenti Rad51. Le mutazioni in questi geni o la loro repressione trascrizionale possono portare all’attività di percorsi alternativi e più soggetti. In particolare, la giunzione tra estremità senza omologo (NHEJ – non homologous end joining) è un percorso di riparazione delle rotture a doppia elica che lega direttamente le estremità rotte insieme senza fare affidamento su un modello omologo, in contrasto con la riparazione diretta per omologia [73]. In condizioni di stress, il lievito sembra passare dalla riparazione dei danni con ricombinazione omologa ad alta fedeltà al meccanismo di riparazione dei DSB più mutageno, della giunzione di estremità senza omologo NHEJ-dipendente [74, 75]. Analoghi meccanismi si osservano nelle cellule tumorali umane, dove condizioni ipossiche sono in grado di attivare la repressione trascrizionale di diversi geni di riparazione del DNA [19, 76–80]. La down-regulation di BRCA1 [81] e Rad51 [82] in particolare, è in grado di commutare il processo ricombinazione omologa del sistema di riparazione di rotture del DNA a doppio filamento verso l’uso della giunzione tra estremità senza omologo NHEJ, portando ad una maggiore instabilità genomica.
La repressione trascrizionale dei geni coinvolti nel percorso di riparazione del mismatch (MMR) (riparazione del disadattamento, ovvero riparazioni di errate incorporazioni di nucleotidi durante la replicazione del DNA) rappresenta un altro meccanismo di mutagenesi indotta da stress. La funzione principale del sistema MMR del DNA è eliminare errori di incorporazione di nucleotidi errati che si verificano durante la replicazione del DNA. La sotto regolazione dei geni coinvolti in questo meccanismo di riparazione MMR (come MutL e MutS nei batteri [63, 83] o MLH1, PMS2, MSH2 e MSH6 nelle cellule umane) è spesso osservata come parte della risposta adattativa [19].
In generale, il passaggio a diverse forme mutagene di riparazione del danni del DNA osservate nelle cellule umane può essere considerato un programma atavico, poiché mostra sorprendenti somiglianze con i programmi di adattamento indotti dallo stress in lieviti e batteri.
In sintesi, i dati sperimentali finora riportati suggeriscono la presenza di temi comuni coinvolti nella mutagenesi indotta da stress, quali: (i) il coinvolgimento di danni al DNA a doppia elica nel processo di riparazione mutagena e (ii) meccanismi di mutagenesi selezionati (passaggio DNA polimerasi a bassa fedeltà e repressione trascrizionale dei geni riparatori del DNA).
Regolazione della risposta del mutatore indotta da stress
Si sa molto poco sulla cinetica e sulla modalità di variazione dei tassi di mutazione che operano nelle cellule eucariotiche durante la risposta allo stress adattativo. Nel lievito, i meccanismi mutageni indotti in risposta allo stress sono sorprendentemente diversi dalle mutazioni spontanee che si verificano in assenza di pressione selettiva, indicando il coinvolgimento di diversi meccanismi molecolari [95]. In generale, la risposta mutagena nel lievito sembra seguire una strategia conservata mediante la quale le duplicazioni cromosomiche vengono acquisite inizialmente e transitoriamente come una soluzione grezza allo stress. La variazione del numero di cromosoni viene quindi eliminata e sostituita da soluzioni più efficienti ottenute a livello del singolo gene [24]. Anche i circuiti molecolari che mediano il collegamento tra le risposte allo stress di prima linea e quelle di seconda linea, come l’induzione del fenotipo mutatore, rimangono poco conosciuti. Recentemente, la connessione tra la risposta allo stress e la riparazione mutagena del DNA, è stata studiata in cellule di lievito [90], dove specifici fattori di trascrizione sembrano svolgere un ruolo chiave nell’attivazione della mutagenesi adattativa in risposta allo stress proteotossico.
Le vie molecolari impegnate nella modulazione della mutagenesi adattativa sono meglio comprese nei batteri [68, 96, 97], dove l’attivazione richiede tre eventi simultanei: (i) la formazione di rotture del DNA a doppio filamento [98] e loro riparazione mediante ricombinazione omologa, (ii) l’induzione della risposta batterica SOS e (iii) l’attivazione della risposta generale allo stress che consente a una DNA polimerasi a bassa fedeltà di partecipare alla riparazione del DNA [99]. È stato osservato che questo meccanismo ha livelli di regolazione diversi, ma evolutivamente conservati [99].
Qui, presentiamo tre proprietà principali che limitano la risposta del mutatore nei batteri [99], con un’enfasi sulle somiglianze tra lievito e cellule tumorali umane.
La risposta del mutatore è limitata ai periodi di stress
Nei batteri, condizioni ambientali sfavorevoli attivano la risposta del mutatore tramite le risposte allo stress SOS e l’attivazione della risposta generale allo stres. Il fenotipo dell’ipermutatore viene disattivato quando il danno al DNA viene riparato e le cellule acquisiscono una mutazione adattativa che consente la crescita nel nuovo ambiente [99]. Nelle cellule tumorali umane, l’attivazione della risposta mutatoria richiede (i) l’esposizione a uno stress prolungato, (ii) l’arresto del ciclo cellulare e (iii) la concomitante presenza di segnali proliferativi intracellulari ed extracellulari combinati con l’apoptosi bloccata [100] . Il livello di instabilità genomica può variare, aumentando sotto intense pressioni selettive [101], ma si riduce una volta che la popolazione tumorale ha raggiunto una nicchia stabile [102, 103].
La mutagenesi indotta da stress è spesso limitata nello spazio genomico
Nei batteri, la mutagenesi è limitata a piccole regioni genomiche, legate alla riparazione localizzata dei danni a doppio filmanento del DNA e all’amplificazione genica [99]. Una mutagenesi localizzata che interessa diverse regioni genomiche, in risposta allo stress proteotossico, è stata descritta anche nel lievito [90]. Allo stesso modo, lo spettro di mutazione era compatibile con la mutagenesi associata alla riparazione dei danni a doppio filamento, suggerendo che i danni a doppio filamento del DNA potrebbero essere importanti intermedi della risposta adattativa. La canalizzazione della varianza genetica in condizioni di stress può anche essere causata da mutagenesi associata alla trascrizione, come notato sopra in E. coli [61] e lievito [64].
Un numero limitato di cellule acquisisce il fenotipo ipermutabile
In condizioni ambientali costanti e favorevoli, l’esistenza di una sottopopolazione minore con tassi aumentati di instabilità genetica (“delinquenti”) può fornire un tampone contro l’esposizione improvvisa a condizioni avverse, limitando al contempo l’impatto deleterio sull’attività fisica di instabilità genetica sulla popolazione nel suo insieme [99]. Sottopopolazioni ipermutabili sono state dimostrate nei batteri [106-109] e ipotizzate nelle cellule tumorali umane [110, 111].
In sintesi, tutte le restrizioni presentate sopra sembrano essere una caratteristica che si trova comunemente nelle cellule procariotiche ed eucariotiche. Ipotizziamo una conservazione funzionale dei meccanismi coinvolti nella regolazione della risposta adattativa allo stress.
Vie terapeutiche
Il modello del fenotipo del mutatore per il cancro prevede la presenza di grandi pool di cellule ipermutabili con un ampio spettro di mutanti subclonali. Questo concetto ha un impatto terapeutico rilevante, poiché è stato riscontrato che subcloni resistenti preesistenti con mutazioni che conferiscono resistenza agli agenti terapeutici mirati, esistono a bassa frequenza prima dell’inizio della terapia [112, 113]. Ancora più importante, la pressione selettiva indotta da ogni singolo agente antitumorale, indurrà inevitabilmente una risposta mutagena adattativa in grado di aumentare il tasso di mutazione all’interno della popolazione, amplificando le possibilità di acquisire alterazioni genetiche benefiche. Le somiglianze riscontrate nelle strategie mutagene adattative delle cellule procariotiche ed eucariotiche, suggeriscono la presenza di meccanismi evolutivi conservati che regolano i tassi di mutazione che potrebbero rappresentare importanti bersagli terapeutici. A questo proposito, sarebbe necessario prendere di mira con precisione i fattori chiave che regolano la mutagenesi, lasciando inalterati quelli coinvolti nella risposta allo stress. Una mancanza di specificità alla fine comprometterebbe l’attività di alcuni chemioterapici [114] così come numerosi meccanismi antitumorali come l’arresto della crescita, l’apoptosi e la necrosi che sono spesso innescati da stimoli di stress nelle cellule normali. Si possono ipotizzare due differenti approcci terapeutici: in primo luogo, come già proposto [68], si potrebbero utilizzare farmaci anti-evoluzione. Queste terapie smorzerebbero la mutagenesi adattativa, inibendo così l’evoluzione in risposta a pressioni selettive. La seconda strategia sfrutterebbe lo stato ipermutabile delle cellule tumorali. I farmaci per l’iperevoluzione indurrebbero un’ipermutabilità incontrollata e irreversibile che porta alla morte cellulare.
Smorzamento dell’ipermutabilità
Idealmente, agenti in grado di indirizzare specificamente le vie che modulano i tassi di mutagenesi adattativa, comprometterebbero la capacità delle cellule tumorali di trovare “soluzioni genetiche” per sfuggire all’attività del farmaco così come ai fattori di stress microambientali intratumorali, minacciando costantemente la loro sopravvivenza. Le cellule tumorali dovrebbero affrontare ambienti difficili in cui l’evoluzione adattativa non sarebbe disponibile come mezzo di sopravvivenza. Infine, la loro eterogeneità genetica e fenotipica diminuirebbe progressivamente riducendo le possibilità di sopravvivenza. La strategia influenzerebbe inevitabilmente anche i sottocloni che si adattano perfettamente a una specifica nicchia ambientale. Tali cellule continuerebbero a proliferare causando problemi insormontabili tra cui carenza di nutrienti, acidosi lattica e ipossia.
Massimizzare l’ipermutabilità, un biglietto di sola andata verso una catastrofe genetica
La presenza di uno stato ipermutabile, potrebbe essere sfruttata terapeuticamente per scatenare un programma mutageno incontrollato che porta a una mutagenesi letale. Esperimenti in sistemi modello di lievito, in cui la perdita di correzione di bozze della polimerasi e MMR, ha indotto tassi di mutazione elevati, hanno stabilito che esiste un limite superiore del carico mutazionale genomico [115]. Tassi di mutazione estremi che superano una soglia di errore sono in grado di uccidere gli organismi. Questo approccio richiederebbe il targeting di molecole chiave che governano la regolazione dei tassi di mutazione, poiché le cellule tumorali dimostrano una notevole resilienza all’instabilità genomica. Il razionale di questo concetto è stato dimostrato con successo su virus [116] e cellule tumorali [117] trattati rispettivamente con analoghi nucleosidici mutageni e inibitori della poli-ADP-ribosio polimerasi (PARP). In entrambi i casi, gli approcci sono stati in grado di indurre la perdita di forma fisica e, infine, l’estinzione. Si presume che lo stato ipermutabile sia una funzione repressa esclusiva delle cellule maligne. Tuttavia, resta da determinare se le cellule normali potrebbero essere influenzate da tali approcci terapeutici.
Implicazioni sperimentali
La questione chiave è se esistono meccanismi conservati che collegano i fattori di stress ambientale alla stabilità genomica. Questa ipotesi implica che potrebbero esserci somiglianze tra i geni implicati nella regolazione dinamica della fedeltà della riparazione e replicazione del DNA negli organismi più semplici e quelli implicati nelle cellule tumorali. Un confronto filogenetico di omologhi e paraloghi nel genoma umano con quelli legati ai fenotipi ipermutatori negli eucarioti e nei procarioti fornirebbe forse alcune informazioni su questi programmi. Questo approccio sarebbe completato da un’indagine imparziale del ruolo funzionale dei geni nella mediazione al cambiamento in rispsota a una gamma di pressioni selettive, in una gamma di linee cellulari tumorali. Cercheremmo un insieme comune di geni in tutti i modelli e pressioni selettive che modificano il tasso di emergenza dei cloni resistenti. Infine, sembra esserci una relazione tra l’intensità della selezione e la natura della risposta mutagena. Ciò significa che le condizioni per il dosaggio devono essere accuratamente calibrate per includere questa dimensione, soprattutto quando si confrontano diverse pressioni selettive. In sintesi, l’utilità degli schermi funzionali dell’intero genoma dipende dall’accurata definizione delle condizioni dello schermo.
Conclusione
L’osservazione originale [118] di subcloni resistenti che emergono in colture cellulari batteriche esposte a pressioni selettive, ha aperto la strada alla caratterizzazione di una risposta programmata allo stress adattativo. Questi dati hanno suggerito, per la prima volta, che le cellule potrebbero mettere in atto strategie mutagene per sopravvivere e accelerare l’adattamento in condizioni ambientali mutevoli. È diventato chiaro che il genoma era dinamico e più reattivo ai fattori di stress ambientale di quanto si sospettasse in precedenza. I meccanismi di mutagenesi indotti dallo stress sembrano ora essere diffusi e importanti in natura. Rappresentano modelli interessanti per la mutagenesi alla base dell’instabilità genomica nella progressione del tumore, l’evoluzione della resistenza agli antibiotici nei batteri, l’acquisizione della resistenza ai farmaci nelle cellule tumorali e l’evasione della risposta immunitaria da parte dei patogeni. Diversi componenti comuni caratterizzano queste strategie nelle cellule di mammifero e in diversi microrganismi. Sono stati compiuti progressi significativi nella caratterizzazione di tali strategie nei batteri, ma molto resta da scoprire nelle cellule eucariotiche. Il campo manca ancora di una chiara comprensione dei percorsi molecolari chiave e dei meccanismi genetici che collegano i percorsi di risposta allo stress con la riparazione del DNA mutageno. Partendo dal presupposto che la mutagenesi non sia né fissa né casuale, ma possa piuttosto variare in modo programmato in base allo stress ambientale, la comprensione di questi percorsi può integrare l’attuale attenzione terapeutica sui bersagli farmacologici nel cancro.
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