Prolattina e cancro: l’orfano ha finalmente trovato una casa? – Prolactin and cancer: Has the orphan finally found a home?
Codice: PRL012
Autore: Sethi et al.
Data: 2012
Rivista: Indian Journal of Endocrinology and Metabolism 16(suppl. 2): S195–S198
Argomento: prolattina
Accesso libero: si
DOI: https://doi.org/10.4103/2230-8210.104038
URL: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3603025/
BLOG: https://www.metododibellaevidenzescientifiche.com/2021/11/25/prl012-sethi-et-al-2012/
Parole chiave: prolattina, cancro, carcinogenesi, recettore
Tumore: n/a
Traduzione: totale e fedele
Punti di interesse
Il lavoro è una mini revisione sul ruolo della prolattina e del suo recettore nei tumori al seno, cancro alla prostata, carcinoma al fegato, tumore al colon-retto, tumori ginecologici, tumori maligni della laringe. Le informazioni sono interessanti e utili, ma visto l’approccio degli autori nel presentare alcune delle loro conclusioni, i punti di interesse di questo articolo sono stati più ampiamente trattati nell’Allegato PRL012 che trovate in fondo alla traduzione. Alcune conclusioni infatti sono criticabili e questa critica ha richiesto un’ulteriore trattazione a parte. Anche articoli di questo genere sono utili per capire certi meccanismi, spesso attuati nella presentazione di opinioni o dati in riviste scientifiche, a sostegno o contro certe posizioni. La scienza non è neutrale.
Traduzione articolo
Riassunto
La prolattina è stata a lungo associata alla galattorrea e all’infertilità nelle donne, mentre il suo ruolo negli uomini è in gran parte sconosciuto. Recentemente, è stata riconosciuta l’espressione della prolattina in vari altri tessuti come il seno, la prostata, la decidua e il cervello. Ciò ha portato alla valutazione delle azioni paracrine e autocrine della prolattina in questi tessuti e di un possibile ruolo nello sviluppo di vari tumori. Anche l’aumentata espressione dei recettori della prolattina è stata implicata nella carcinogenesi. Il cancro al seno ha l’associazione più forte con l’aumento dei livelli di prolattina e del recettore della prolattina. Anche il cancro alla prostata ha riportato un’associazione significativa, mentre il ruolo della prolattina nel tumore del colon-retto, ginecologico, laringeo ed epatocellulare è più tenue. Anche la via di segnalazione del recettore prolattina è stata implicata nello sviluppo della resistenza alla chemioterapia. Pertanto, gli effetti di questa via nella cancerogenesi sembrano diffusi. Allo stesso tempo, offrono anche un nuovo entusiasmante approccio alla manipolazione ormonale dei tumori, in particolare dei tumori resistenti al trattamento. Leggi tutto
Introduzione
La prolattina (PRL), l’ormone peptidico secreto dall’ipofisi anteriore, è rimasta a lungo limitata al campo della lattazione e dell’infertilità. Mentre alcuni studi recentemente si sono occupati dell’uso della prolattina nella discriminare tra crisi epilettiche vere e pseudo-crisi, i molteplici effetti di questo ormone sono rimasti in gran parte sconosciuti. La connessione tra prolattina e cancro è stata sospettata per molti anni, ma non è mai stata dimostrata in modo definitivo. La somiglianza della prolattina con l’ormone della crescita e le sue azioni attraverso la via JAK/STAT di promozione della crescita cellulare, suggeriscono i suoi effetti di promozione della crescita tumorale. Ricerche recenti hanno sottolineato il ruolo della PRL e del recettore della PRL (PRLR) soprattutto nei tumori della mammella e della prostata, ma anche in una varietà di altri tumori. Questo articolo di revisione è stato progettato per presentare una panoramica della recente comprensione del ruolo della PRL nel cancro e delle nuove modalità di terapia del cancro basate sul percorso della PRL.
Cancro al seno
Il cancro al seno è uno dei tumori più comuni nelle donne, con oltre un milione di casi segnalati in tutto il mondo, che rappresentano il 25% di tutti i tumori nelle donne. Nonostante la disponibilità di trattamenti avanzati come la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia, la malattia continua a farsi sentire, con un’alta incidenza di fallimenti terapeutici dovuti alla resistenza al tumore, sia intrinseca che acquisita. Ciò ha spinto alla ricerca dei fattori che lo causano e anche dei mezzi per contrastarlo, e la prolattina è uno di questi candidati. Il concetto di prolattina come fattore di cancro mammario non è nuovo. Inizialmente è stato suggerito più di tre decenni fa, sulla base di dati ottenuti da modelli murini. Per molto tempo, questi dati sugli animali non potevano essere estrapolati all’uomo per vari motivi: (i) la maggior parte di questi studi riguardava solo pochi soggetti, (ii) non esisteva un concetto di produzione locale di prolattina nel tessuto mammario, (iii) la maggior parte degli studi, che utilizzavano la bromocriptina per ridurre i livelli sierici di prolattina, non ha portato a un trattamento di successo e (iv) la maggior parte di questi studi non ha raggiunto conclusioni specifiche sulla relazione tra prolattina e cancro al seno. Tuttavia, l’elevata incidenza di insuccessi terapeutici e una serie di recenti studi epidemiologici hanno nuovamente spostato l’attenzione sulla prolattina. Questi recenti studi hanno portato alla ribalta alcuni concetti critici riguardanti il ruolo della prolattina (PRL) nel cancro al seno. (i) Anche livelli circolanti di PRL elevati e normali aumentano il rischio di cancro al seno. (ii) La prolattina prodotta localmente agisce come un fattore autocrino/paracrino nell’evoluzione del cancro al seno. (iii) È stata anche riconosciuta una relazione causale tra l’espressione del recettore della prolattina e il cancro al seno.[1]
L’esatto meccanismo attraverso il quale livelli circolanti di PRL elevati e normali portano ad un aumento del rischio di cancro al seno non è esattamente noto. La PRL può promuovere il cancro al seno attraverso la via di segnalazione JAK2/STAT5 e può anche aumentare la sopravvivenza delle cellule del cancro al seno stimolando la generazione di nuove cellule tumorali e diminuendo la morte cellulare. La PRL potrebbe anche aumentare la motilità cellulare e promuovere la diffusione del cancro. La PRL è stata anche implicata nel causare resistenza a farmaci citotossici come il cisplatino e farmaci come il paclitaxel, che agiscono sui microtubuli cellulari.
La prolattina circolante prodotta dall’ipofisi non è l’unica prolattina disponibile per i tessuti. Molti organi come la ghiandola mammaria, la prostata, il cervello, la decidua e la pelle esprimono anche la PRL. Questa prolattina extra-ipofisaria è probabilmente coinvolta nello sviluppo del tessuto mammario, nella bioregolazione dermatologica e nella percezione del dolore. Mentre la secrezione extra-ipofisaria è stata riportata anche in modelli animali, si presume che sia molto più comune negli esseri umani ed è indipendente dalla dopamina e dal fattore di trascrizione POU1F1. Non è stato ancora identificato un regolatore specifico della produzione locale di PRL, anche se sono stati proposti come regolatori l’insulina, il progesterone e il fattore di crescita trasformante beta. Nella mammella, la PRL viene prodotta sia nel compartimento stromale che epiteliale. Inoltre, sebbene venga prodotta localmente pochissima prolattina, è molto importante per la formazione del tumore a causa della disponibilità locale.
Alcuni studi hanno anche scoperto che i tumori al seno esprimono anche livelli più elevati del recettore della PRL (PRLR) rispetto al tessuto sano adiacente.[2,3] Anche livelli bassi di espressione del recettore della prolattina sono adeguati per mediare le azioni della PRL nelle linee cellulari del cancro al seno. Una famiglia di isoforme del recettore della prolattina (PRLr), in totale sei isoforme, media gli effetti della PRL nei tessuti umani. Queste sei isoforme sono espresse in modo variabile nei tessuti normali e nei tessuti maligni. Le cascate di segnalazione innescate da PRLR sono state anche implicate nei tumori benigni della mammella. Uno studio di Plotnikov et al.[4] hanno scoperto che il turnover alterato del recettore della prolattina nelle cellule del cancro al seno provoca una proliferazione accelerata e un aumento della crescita invasiva. Al contrario, l’antagonismo del recettore della prolattina ha portato a una riduzione della capacità clonogenica delle cellule del cancro al seno e ha potenziato l’azione dei farmaci antitumorali citotossici.[5] Ciò ha implicazioni molto importanti nella chemioterapia del cancro al seno, in particolare i tipi resistenti. La produzione locale di prolattina non può essere controllata dai convenzionali agonisti dopaminergici che agiscono a livello ipofisario. Questo fallimento della bromocriptina (l’agonista della dopamina più comunemente usato negli studi sul cancro) nel ridurre i livelli locali di PRL ha portato al fallimento di questo farmaco negli studi sul cancro. Ciò evidenzia la necessità di sviluppare una categoria speciale di agenti terapeutici mirati a ridurre l’azione della PRL endogena bloccando il recettore della PRL. L’antagonista della PRLR umana indicato con la sigla G129R-hPRL, ostacola la dimerizzazione e la successiva attivazione della PRLR, e provoca l’apoptosi delle linee cellulari di cancro al seno sia positive al recettore degli estrogeni che negative. Nello studio di Howell et al.[5] il “puro” antagonista del recettore della prolactina Δ1-9 ha aumentato significativamente gli effetti citotossici di doxorubicina e paclitaxel in vitro. Questa terapia ha anche inibito l’efficienza di formazione di colonie di linee cellulari e tumori primari. La prolattina autocrina nelle linee cellulari di cancro al seno può anche essere antagonizzata da anticorpi neutralizzanti la prolattina.[6] La maggior parte degli studi sugli anticorpi sono stati in vitro, in cui è stato dimostrato che questi anticorpi neutralizzanti inibiscono la crescita delle cellule MCF-7 e T47Dco e aumentano l’apoptosi cellulare.[7] Pertanto, questi studi suggeriscono che una giudiziosa combinazione di agenti citotossici, antagonisti della PRLR/anticorpi neutralizzanti potrebbe fornire una nuova forma di terapia per i tumori al seno resistenti.
Interazioni tra sistemi estrogeni e prolattina
Recenti ricerche hanno indicato una significativa interazione tra i sistemi di estrogeni e prolattina. L’estrogeno stimola la secrezione di prolattina e può anche aumentare l’espressione genica del recettore umano della prolattina e stimolare la crescita della tumorigenesi.[8] È stato dimostrato che la prolattina esercita alcuni dei suoi effetti sulle cellule tumorali mammarie attraverso il recettore degli estrogeni. È stato anche scoperto che gli anti-estrogeni come il tamoxifene bloccano i recettori della prolattina. Questo potrebbe rappresentare un’altra via di terapia del cancro, distinta dagli effetti anti-estrogenici di questi farmaci. È interessante notare che l’iperprolattinemia provoca ipogonadismo, sopprime il ciclo riproduttivo ovarico e riduce gli estrogeni. Pertanto, le interazioni tra le vie della prolattina e degli estrogeni sono complesse e sono necessari studi accurati per formulare strategie di trattamento.
Cancro alla prostata
Il cancro alla prostata è attualmente il tumore più frequentemente diagnosticato e rappresenta la seconda causa più comune di morte per cancro negli uomini. La PRL ha un ruolo importante nello sviluppo della ghiandola prostatica. Nel 1955, Grayhack[9] scoprì che quando la prolattina veniva inibita nei ratti durante lo sviluppo embrionale, si sviluppava solo l’80% della prostata, il che dimostra che la prolattina è importante nella differenziazione e nello sviluppo della prostata. Esistono anche prove significative dell’esistenza di azioni paracrine e autocrine della prolattina. Il cardine del trattamento del cancro alla prostata comprende la prostatectomia radicale, la radioterapia e la terapia di deprivazione androgenica. Tuttavia, proprio come nel cancro al seno, anche nel cancro alla prostata è stata osservata resistenza alla terapia ormonale. Inoltre, il cancro alla prostata spesso metastatizza all’osso, il che rende il trattamento ancora più difficile. Gli studi epidemiologici che esplorano una correlazione tra i livelli sierici di PRL e l’incidenza o la gravità del cancro alla prostata sono stati equivoci. Sia la prostata maligna che quella sana producono PRL. I tessuti PRL-positivi mostrano una buona correlazione con Stat5 attivato e un punteggio di Gleason elevato. I fluidi prostatici di pazienti con cancro hanno anche livelli di PRL più elevati rispetto ai controlli, il che supporta anche l’esistenza di PRL derivato dalla prostata. La maggior parte degli effetti della prolattina sulle cellule del cancro alla prostata sono simili a quelli sulle cellule del cancro al seno. In vitro, la prolattina induce la proliferazione e antagonizza l’apoptosi nelle colture di organi prostatici e in alcune linee cellulari tumorali. Nell’uomo, i recettori per la prolattina sono espressi nella prostata e questa espressione è particolarmente elevata nel cancro alla prostata e nel carcinoma in situ. Mentre l’ipogonadismo causato dall’iperprolattinemia potrebbe avere un ruolo nella riduzione del cancro alla prostata, come riportato in uno studio,[10] la maggior parte delle prove sembra suggerire che l’aumento della PRLR e la produzione locale di PRL nella prostata potrebbero essere importanti nell’aumento del rischio del cancro alla prostata e della resistenza al trattamento.
Cancro del colon-retto
Il cancro del colon-retto è la terza causa di mortalità per cancro nel mondo. Il CEA è il marker più comune utilizzato per l’individuazione e il follow-up del cancro del colon-retto. Tuttavia, uno studio di Soroush et al.[11] ha confrontato i livelli sierici di PRL e CEA di 47 pazienti e hanno scoperto che i livelli sierici di PRL e CEA erano aumentati nei pazienti con cancro del colon-retto, ma la maggior parte dei pazienti aveva un livello maggiore di PRL rispetto a un livello elevato di CEA. Inoltre, non hanno trovato alcuna correlazione tra la concentrazione plasmatica di PRL e lo stadio del tumore. Hanno concluso che, in considerazione dell’alto costo del CEA, la prolattina potrebbe essere utilizzata come marker tumorale per il cancro del colon-retto. Risultati simili sono stati trovati in uno studio di Bhatavdekar.[12] Tuttavia, le prove sul ruolo della prolattina nel cancro del colon-retto sono state miste e il suo ruolo nel cancro del colon-retto rimane controverso.
Carcinoma epatocellulare
Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta più di 6 lakh di nuovi casi all’anno in tutto il mondo. Nonostante diverse modalità di trattamento, il tasso di sopravvivenza a lungo termine rimane insoddisfacente, principalmente a causa degli alti tassi di recidiva e metastasi anche dopo il trattamento. L’aumento dei livelli di prolattina circolante, l’elevata espressione di p-JAK2 e la generazione di cellule di cancro al fegato attraverso la segnalazione PRLR/JAK2 sono stati tutti proposti come meccanismi che potrebbero contribuire allo sviluppo dell’HCC. Uno studio di Yeh et al.[13] hanno dimostrato livelli sierici di prolattina significativamente più alti nelle persone con HCC e questa relazione significativa esisteva indipendentemente dal sesso, dall’età o dalla massa corporea (BMI). Questi risultati hanno implicazioni significative nell’individuazione e nella terapia dell’HCC, se dimostrati. Pertanto, devono essere progettati immediatamente studi più ampi, che possano dimostrare il ruolo della PRL nell’attivazione di JAK2 ed escludere il ruolo di altre citochine e fattori di crescita nella via di attivazione di JAK2.
Tumori ginecologici
Sono stati segnalati livelli elevati di PRL sierica nei tumori ovarici ed endometriali, indicando un potenziale ruolo della PRL nei tumori ginecologici. La PRL probabilmente promuove la tumorigenesi attivando l’oncogene Ras, e quindi potrebbe portare a cellule con mutazioni nei geni oncosoppressori che diventano maligne. Uno studio di Levina et al.[14] hanno trovato un’espressione drammaticamente aumentata del recettore della PRL nei tumori ovarici ed endometriali, nonché nell’iperplasia endometriale, a significare l’importanza della segnalazione della PRL in condizioni maligne e precancerose. L’mRNA della PRL è stato espresso nei tumori ovarici ed endometriali, indicando la presenza di una produzione autocrina. Anche i livelli sierici di PRL erano significativamente elevati nelle donne con una forte storia familiare di cancro ovarico e questo aumento di PRL non poteva essere attribuito allo stress.
Tumori maligni della laringe
Il cancro della laringe (LC) è responsabile di circa 159.000 nuovi casi e 90.000 decessi ogni anno. I meccanismi alla base della proliferazione di questa forma di cancro non sono ancora del tutto chiari. Un recente studio di Gonzαlez-Lucano et al.[15] hanno riscontrato un aumento dell’espressione di diverse isoforme di PRLR nella LC rispetto alla papillomatosi respiratoria ricorrente. Ciò ha suggerito un possibile ruolo di PRL/PRLR nello sviluppo di LC. Hanno concluso che la PRLR potrebbe essere utile come bersaglio per ulteriori indagini nei tessuti laringei.
Tutte le cause mortalità
In considerazione della diffusa espressione della PRL in vari tessuti e del ruolo emergente della prolattina nel causare tumori multipli, è stato ideato uno studio da Berinder et al.[10] valutare il rischio relativo complessivo di cancro e il rischio di alcune specifiche forme di cancro specificate a priori in una coorte di 969 donne e uomini con iperprolattinemia. I loro risultati erano diversi dalla maggior parte degli studi sulla prolattina e sul cancro e riportavano una maggiore incidenza di cancro del tratto gastrointestinale superiore sia nei maschi che nelle femmine e il cancro ematopoietico nelle femmine. Il rischio di cancro al seno non era aumentato nelle donne e c’era un rischio ridotto di cancro alla prostata negli uomini. Un aumento del rischio complessivo di cancro è stato riscontrato nei pazienti con iperprolattinemia.
L’ultima parola sul ruolo della PRL nel causare il cancro e sul suo recettore che conferisce resistenza agli agenti chemioterapici deve ancora essere scritta. Maggiore è il numero di tumori aggiunti all’elenco, più la storia diventa sempre più curiosa. Chiaramente, è stata dimostrata un’associazione, ma è ancora da stabilire se si tratti di una relazione di causa ed effetto. Modesti rilievi di PRL potrebbero essere di origine locale. Livelli più alti che si ottengono nei prolattinomi di solito causano ipogonadismo, qualcosa a cui mirano le chemioterapie per il trattamento del cancro al seno e alla prostata, e quindi questo elevato PRL sierico non può certamente essere accusato di causare questi tipo di tumori (prolattinomi).
Allegato a PRL012 Sethi et al. 2012
Parole chiave: fallimento e resistenza
Parola chiave: fallimento
Il lavoro inizia con il riassumere ciò che nel 2012 si sapeva sul legame tra prolattina e tumore al seno. Gli autori affermano che il concetto di prolattina come fattore di cancro mammario non è nuovo, già era stato suggerito più di tre decenni fa. L’interesse sulla prolattina come un fattore rilevante nel cancro al seno si ridusse perché “la maggior parte degli studi, che utilizzavano la bromocriptina per ridurre i livelli sierici di prolattina, non ha portato a un trattamento di successo” e “la maggior parte di questi studi non ha raggiunto conclusioni specifiche sulla relazione tra prolattina e cancro al seno”. Faccio notare che a sostegno di queste affermazioni non viene citato nessun articolo.
Successivamente leggiamo: “La produzione locale di prolattina non può essere controllata dai convenzionali agonisti dopaminergici che agiscono a livello ipofisario. Questo fallimento della bromocriptina (l’agonista della dopamina più comunemente usato negli studi sul cancro) nel ridurre i livelli locali di PRL ha portato al fallimento di questo farmaco negli studi sul cancro.” Anche questa frase non è seguita da una citazione.
Quindi il messaggio che passa è: bromocriptina = fallimento sia perché gli studi con la bromocriptina per ridurre i livelli sierici di prolattina non hanno portato ad un trattamento di successo, sia perché la autoproduzione locale di PRL non può essere controllata da agonisti dopaminergici come appunto lo sono bromocriptina e cabergolina. Questo il messaggio che passa. Leggi tutto
Parola chiave: resistenza
Questa parola chiave la troviamo fin dall’inizio nel riassunto.
“Anche la via di segnalazione del recettore della prolattina è stata implicata nello sviluppo della resistenza alla chemioterapia. Pertanto, gli effetti di questa via nella cancerogenesi sembrano diffusi. Allo stesso tempo, offrono anche un nuovo entusiasmante approccio alla manipolazione ormonale dei tumori, in particolare dei tumori resistenti al trattamento.”
Successivamente nell’articolo, nella sezione relativa al cancro al seno la parola resistenza la ritroviamo in due frasi. Che sono:
1) “Al contrario, l’antagonismo del recettore della prolattina ha portato a una riduzione della capacità clonogenica delle cellule del cancro al seno (quindi crescita) e ha potenziato l’azione dei farmaci antitumorali citotossici (quindi morte cellulare). Ciò ha implicazioni molto importanti nella chemioterapia del cancro al seno, in particolare i tipi resistenti.”
2) “Pertanto, questi studi suggeriscono che una giudiziosa combinazione di agenti citotossici, antagonisti della PRLR/anticorpi neutralizzanti potrebbe fornire una nuova forma di terapia per i tumori al seno resistenti”.
Perché nei tumori al seno RESISTENTI, il blocco del recettore della PRL sembra sbloccare la chemioresistenza? Un tumore diventa chemioresistente con trattamenti chemioterapici. Alle prime terapie chemioterapiche c’è risposta, poi a successive terapie chemioterapiche non c’è più risposta. Quindi il tumore cresce e non muore nonostante il trattamento. Cosa e come diventa chemioresistente un tumore? E come questo è legato alla produzione ipofisaria e locale di prolattina? Chi causa cosa? Perché in un tumore resistente, con il blocco del PRLr la chemio sembra tornare a fare effetto? Se la chemioresistenza è legata al recettore della prolattina, e se insorge dopo i trattamenti chemioterapici, sono i trattamenti chemioterapici a far si che si attivi resistenza tramite prolattina e suo recettore?
Torniamo alla parola chiave FALLIMENTO.
Ho sfrugolato nella bibliografia dell’articolo Sethi et al 2012. In totale vengono citati 15 articoli, bibliografia scarna. Sono andata a vedere gli articoli citati, per cercare gli studi che evidenziano il fallimento della bromocriptina, che devono essere portati a sostegno di quanto detto nell’articolo. Ne ho trovati tre che facevano affermazioni simili e che citavano altri lavori. Gli articoli in questione sono tre e sono: 1) Bernichtein et al 2010, 2) Reynolds et al. (1997), 3) Perks et al (2004)
Andiamoli a vedere uno a uno, cosa realmente dicono:
1) Bernichtein et al 2010 Nuovo concetto di biologia della prolattina. Journal of Endocrinology 206, 1–11
In questo articolo leggiamo:
“Nell’uomo, sono stati condotti studi clinici con l’obiettivo di ridurre i livelli sierici di prolattina utilizzando agonisti della dopamina come la bromocriptina. Sebbene i livelli di prolattina circolante siano stati drasticamente ridotti, non è stato osservato alcun beneficio terapeutico nei pazienti con cancro al seno”. Come è buona norma fare, a sostegno di questa affermazione sono stati citati due articoli:
A) Bonneterre et al 1988 Tamoxifene più bromocriptina versus tamoxifene più placebo nel carcinoma mammario avanzato: risultati di uno studio clinico multicentrico in doppio cieco. European Journal of Cancer and Clinical Oncology 24(12):1851-1853
B) Anderson et al. 1993 Ormoni lattogeni immunoreattivi e bioattivi sierici in pazienti con carcinoma mammario avanzato trattate con bromocriptina e octreotide. European Journal of cancer 22(2): 209-217
In Bonneterre et al. 1988 hanno trattato 171 pazienti con cancro al seno metastatico con o tamoxifene + bromocriptina o con solo tamoxifene. Esperimento durato 6 mesi. Concludono che non ci sono differenze statisticamente significative tra i due gruppi. E quindi la bromocriptina non fa effetto. Ma quando le pazienti sono suddivise per localizzazione del tumore qualche differenza in realtà si vede. Chi fa Scienza, un po’ di statistica la deve maneggiare. Perché è grazie alla statistica che da un insieme di dati, si estrapolano delle informazioni e se queste sono significative o meno. Quando non si evidenziano differenze statisticamente significative la questioni sono due: o non esistono davvero differenze tra i campioni o 2) qualcosa non va nel modo in cui l’esperimento è stato disegnato, il campione raccolto, e nel modo in cui vengono considerate le diverse variabili che potrebbero influenzare il risultato della nostra analisi/esperimento. Se non si hanno differenze significative su un campione totale, andando a suddividere il campione con l’uso di altre variabili discriminatorie, potremmo in realtà trovare differenze, perché altri fattori potrebbero intervenire in ciò che lo studio sta analizzando. E questo è quello che si vede bene in Bonneterre et al 1988. Primo 171 pazienti non sono poche ma neanche tante. Secondo, suddividendo ulteriormente il campione sulla base della localizzazione delle metastasi, si iniziano a intravedere delle differenze. Aumentando il campione e stratificandolo meglio, ovvero suddividendolo per ulteriori variabili (tipologia di tumore, stadiazione, localizzazione, trattamenti pregressi etc) probabilmente questo studio avrebbe dimostrato qualcosina in più. Invece gli autori ritengono che con il loro esperimento di concludere, sulla base di questi risultati che la bromocriptina non serve a nulla in pazienti con tumore al seno in stadio avanzato. Comunque non è che ci possiamo aspettare miracoli, con una sola molecola in pazienti poi metastatiche quindi stadio avanzato, con chissà quali trattamenti chemioterapici pregressi. Della serie, hanno fatto di tutto per non evidenziare risultati significativi.
In Anderson et al. 1993 ne vediamo veramente delle belle. In questo studio in totale sei pazienti con cancro al seno sono state trattate con bromocriptina e octreotide in lenta infusione per sei mesi o fino a progressione. Avete letto bene, bromocriptina e octreotide. Hanno evidenziato che prolattina, GH e IGF1 erano notevolmente ridotti dal trattamento. Inoltre in quattro delle sei pazienti non c’è stata progressione della malattia nei 6 mesi del trattamento. Già la numerosità campionaria è ridottissima, ma nonostante questo 4 su 6 hanno beneficiato del trattamento perché non c’è stata progressione nei sei mesi di trattamento. In due delle sei pazienti invece c’è stata progressione e dopo due settimane di trattamento hanno abbandonato lo studio. Due settimane. Una di queste due pazienti non tollerava la bromocriptina. Queste le conclusioni degli autori:
“In considerazione della tossicità relativamente bassa del regime, sembrerebbe opportuno determinare l’efficacia di questo approccio combinato in un gruppo più ampio di pazienti meno pretrattati. (….) I meccanismi con cui l’octreotide e la bromocriptina esercitano i loro effetti sulle cellule sono, al momento, sconosciuti. Ci sono una serie di possibili spiegazioni. Ridurre sia la PRL che il GH può essere sufficiente per causare la regressione del tumore. La riduzione dei livelli sierici di IGF-I che accompagna la diminuzione del GH può inibire la crescita del tumore o lo stesso octreotide può avere un effetto inibitorio diretto sui tumori della mammella”.
Quindi Anderson et al. 1993 viene citato come uno studio che dimostra il fallimento della bromocriptina quando invece da indicazioni dell’opposto! E raccomanda ulteriori studi.
Due articoli Bonneterre et al. 1988 e Anderson et al. 1993 che non dimostrano affatto che la bromocriptina sia un fallimento , ma vengono invece citati a sostegno di questa tesi.
2) In Reynolds et al. (1997) Espressione della prolattina e del suo recettore nel carcinoma mammario umano. Endocrinology 138(12): 5555–5560
In questo secondo articolo leggiamo: “Le terapie volte a ridurre i livelli circolanti di PRL, come l’ipofisectomia o la terapia con bromocriptina, non hanno avuto successo nel trattamento del cancro al seno umano”. A sostegno di questa affermazioni gli autori citano i seguenti articoli:
A) Peyrat et al (1984) Effetto del trattamento con bromocriptina sui livelli di prolattina e del recettore degli steroidi nel carcinoma mammario umano. Eur J Cancer Clin Oncol 20:1363–1367
B) Heuson et al (1972) Trial clinico di 2-BR-alpha-ergocryptine (CB154) in tumori al seno in stadio avanzato. Eur J Cancer 8:155–156
In Peyrat et al (1984) la bromocriptina è stata somministrata per QUATTRO giorni a 30 pazienti con tumore al seno prima che fossero operate. Sono andati a vedere se questo trattamento di 4 giorni alterava la distribuzione di recettori ormonali. Basta, non è stata usata per altro in questo studio. Cosa può quindi dimostrare questo studio in merito alla bromocriptina e alla sua potenzialità d’uso nei trattamenti antitumorali?
In Heuson et al (1972) a 19 pazienti con cancro al seno avanzato è stata somministrata la bromocriptina per 6 settimane senza ottenere nessuna risposta. Cosa concludono? Che non funziona! Ma è questa Scienza o l’Ascienzah? Ancora cancro al seno avanzato. Non sappiamo nulla Mi domando: ma davvero si aspettavano una risposta con solo bromocriptina data per 1 mese e mezzo a 19 pazienti con tumore al seno metastatico con chissà quali tratttamenti chemioterapici già effettuati? Forse la sola bromocriptina non basta? Studio di 6 mesi? Vabbe, direte voi, era il 1972. Ma il prof. Luigi Di Bella già curava pazienti e salvava vite con una multiterapia in cui era inclusa la bromocriptina negli anni ‘70.
3) Perks et al (2004) La prolattina agisce come un potente fattore di sopravvivenza per le linee cellulari del cancro al seno umano. British Journal of Cancer 9(12): 305-311
In questo articolo si riafferma che la bromorciptina non da nessun effetto terapeutico citando i due articoli che abbiamo gia visto sopra ovvero Bonneterre et al, 1988; Anderson et al, 1993.
Perks et al 2004 conclude che questi fallimenti con la bromocriptina hanno diminuito l’interesse sulla prolattina con target terapeutico. Poi si contraddice perché più avanti leggiamo:
“…. uno studio clinico, che ha descritto come l’inibizione della secrezione di prolattina mediante agenti come la bromocriptina abbia potenziato l’efficacia dei farmaci chemioterapici per il trattamento del cancro al seno (Lissoni et al, 2002). Pertanto, i tumori con alti livelli di prolattina sarebbero forse trattati in modo più efficiente con ulteriori terapie anti prolattiniche .” Cita il lavoro di Lissoni et al del 2002, che mi sono letta.
In Lissoni et al 2002 leggiamo: “La prolattina (PRL) costituisce un fattore di crescita per la proliferazione delle cellule del cancro al seno e concentrazioni ematiche anormalmente elevate di PRL sono associate a prognosi infausta e ridotta efficacia delle terapie antitumorali nel carcinoma mammario metastatico. È già stato dimostrato che la bromocriptina a basso dosaggio, un farmaco dopaminergico antiprolattinemico a lunga durata d’azione, normalizza le concentrazioni ematiche di PRL in pazienti con carcinoma mammario metastatico con livelli di PRL anormalmente elevati. Inoltre, precedenti studi clinici hanno già dimostrato una minore efficacia della chemioterapia con taxotere nel carcinoma mammario metastatico, con iperprolattinemia persistente. Abbiamo pianificato uno studio clinico controllato per valutare l’influenza di una somministrazione concomitante del farmaco antiprolattinemico bromocriptina sull’efficacia della chemioterapia con taxotere, in pazienti con carcinoma mammario metastatico in progressione dopo combinazioni chemioterapiche contenenti antracicline (torna la parola chiave resistenza). Lo studio ha incluso 30 pazienti trattati con solo taxotere o taxotere più bromocriptina. La percentuale di malattia non progressiva raggiunta nei pazienti trattati con taxotere più bromocriptina era significativamente più alta rispetto a quella riscontrata nei pazienti trattati con solo taxotere. Questo studio clinico preliminare suggerirebbe che l’inibizione della secrezione di PRL da parte di farmaci antiprolattinemici come la bromocriptina può aumentare l’efficacia della chemioterapia per il carcinoma mammario metastatico.”
Quindi il fallimento della bromocriptina dove starebbe?
Il presunto “fallimento” della bromocriptina ai loro occhi evidenzia la necessità di sviluppare nuove categorie di agenti terapeutici a ridurre la prolattina endogena bloccando il recettore.
Ma la produzione di prolattina ipofisari e locale che ruolo hanno nella insorgenza di un tumore e nella sua crescita e diffusione? E che ruolo hanno nello sviluppo della chemiorestistenza?
In merito all’evoluzione della resistenza e all’autoproduzione di fattori di crescita localmente da parte dei tumori stessi, vi riporto un brano tratto dal Libro del dott. Di Bella “La scelta antitumore” che trovate a pag. 225/226.
“Ad un approfondito esame l’attuale paradigma oncologico dominante della visione della progressione maligna come totalmente gestita dal caso, cioè interamente prodotta da una somma di mutazioni successive, ma sempre casuali, non regge, proprio per il carattere prevedibile della progressione maligna. La progressione della malattia tumorale è sicuramente molto stereotipata, è la recita di un copione. Le cellule tumorali acquisiscono con gradualità e progressione crescenti proprietà e caratteristiche ed imparano a svolgere tutta una serie di attività. In un periodo relativamente breve, le cellule tumorali sono in grado di produrre una serie di fattori di crescita, che lo loro omologhe non endocrine non sintetizzano. Le cellule tumorali esprimono dei recettori a questi fattori che influenzano la proliferazione selettiva, limitata alla stesse popolazioni neoplastiche.”
“Esistono alcuni eventi, caratterizzanti la progressione tumorale, che non corrispondono a delle mutazioni, ma sono delle semplici riattivazioni e ri-espressioni o amplificazioni di geni, non mutati, ma silenti.”
Attraverso la riattivazione di questi geni, e all’attivazione di vie silenti di crescita e diffusione, i tumori aumentano la loro aggressività e resistono alle terapie. E’ la tossicità dell’ambiente in cui una cellula si trova che la spinge ad attivare nuovi “modi” di crescere, normalmente silenziati in una cellula sana, per sfuggire al danno che l’ambiente tossico le causa. La vita lotta sempre per mantenere se stessa, e nel tempo si sono evolute strategie per questo fine, anche ereditate dal DNA di organismi batterici da cui le nostre cellule derivano.
I trattamenti oncologici tradizionali non fanno nel tempo che indurre chemioresistenza riattivando geni silenti che consentono al tumore di acquisire nuove capacità. Un esempio? La produzione di ormoni e fattori di crescita localizzata, come ad esempio la prolattina. Prima si induce chemio resistenza, spingendo il tumore ad autoprodursi ormoni e fattori di crescita. Poi si cerca di utilizzare agenti terapeutici, mirati a ridurre l’azione di questi fattori autoprodotti agendo su i recettori dei fattori stessi, nel tentativo di bloccare un qualcosa indotto dai precedenti trattamenti.
In merito alla chemioresistenza indotta dalle terapie convenzionali, chemio e radio, andatevi a rileggere cosa ci racconta di interessante l’articolo GH008 Basu and Kopchick 2019 “Gli effetti dell’ormone della crescita sulla resistenza alla terapia nel cancro -The effects of growth hormone on therapy resistance in cancer” che trovate cliccando qui e tutti gli articoli della sezione “Mutagenesi”
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